
E io, che per avere (e tenere) mia figlia ho rinunciato all'università? Che ho fatto mille lavori uno più inutile e sottopagato dell'altro, per avere comunque il tempo di starle vicino, crescerla e volerle bene? Perché devo sentirmi giudicata da lei, perché devo meritarmi l'etichetta di "fallita"?
Se sua figlia le si affeziona, son contenta per lei, ma non mi stupirei poi così tanto se in realtà la ragazza giocasse sui sensi di colpa della madre per spillarle quattrini.
Mi fanno diventare cattiva, queste cose, tirano fuori la parte peggiore che c'è in me.
Perché ci lavoro?
Perché credo che da qualche parte esista effettivamente qualcuno che ha bisogno di sentirsi dire queste cose, qualcuno che da solo non è capace di andare avanti, che ha bisogno di qualcuno che gli dica "tu vali qualcosa", anche se in questo modo perverso. Perché credo anche che costoro non recepirebbero altro. Perché probabilmente questo è davvero ciò di cui hanno bisogno per essere felici. Tutti gli altri reagiranno con indifferenza o con indignazione, come me. Quindi questa roba ha un target che in modo o nell'altro raggiungerebbe comunque.
Lo faccio perché il tipo di lavoro che ci sta dietro - indipendentemente dal soggetto - è stimolante.
Lo faccio perché ho promesso di farlo.
Lo faccio, ma la prendo personalmente.
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