WE OWE IT TO EACH OTHER,
TO TELL STORIES.

Neil Gaiman

CARESS THE TALES
AND THEY WILL DREAM YOU REAL.

Nightwish

STORIES AND SONGS
ARE THE LANGUAGE OF THE HEART.

Stephen Lawhead


ALL STORIES ARE TRUE.
Patrick Rothfuss

A DREAMER IS ONE WHO CAN ONLY FIND HIS WAY BY MOONLIGHT,
AND HIS PUNISHMENT IS THAT HE SEES THE DAWN
BEFORE THE REST OF THE WORLD.
Oscar Wilde

THE CORE OF ALL LIFE
IS A LIMITLESS CHEST OF TALES.

Nightwish
ALL THE TRUTH IN THE WORLD
IS HELD IN STORIES.

Patrick Rothfuss

lunedì 14 novembre 2011

War does not determine who is right - only who is left. [Bertrand Russell]

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ovvero: STORIE DI FAMIGLIA

La mia nonna materna si chiamava Virginia e nacque nel 1902.
Quando era ancora una ragazzina suo padre morì di polmonite, convinto di aver provveduto al futuro finanziario della sua futura vedova e delle due figlie.
Fai studiare le bambine, possiamo permettercelo, sono state tra le ultime parole da lui dette alla moglie. La quale moglie considerò che il pover'uomo era sul letto di morte e decise di non rivelargli che giusto la notte prima la banca nella quale erano depositati tutti i loro risparmi - e quindi anche il futuro delle figlie - era stata derubata e non avevano più un soldo. Non solo. Il mio bisnonno possedeva una piccola fabbrica di zoccoli nella bergamasca, si era sotto Natale e i lavoratori andavano pagati.
Morto il marito, la vedova vendette tutto quello che poteva vendere per pagare i dipendenti, dopodiché si mise a ricamare corredi per campare, mandando le figlie a fare le lavoratrci stagionali.
Anche così, però, non riuscivano a sopravvivere decorosamente: spesso capitava che chi le ordinava un corredo alla fine non pagasse. I ricchi sono sempre stati fatti della stessa pasta, a quanto pare.
Così la mia bisnonna e le sue due figlie si trasferirono a Milano, in cerca di una migliore occupazione.
Non so precisamente che anno fosse, ma doveva essere periodo di guerra perché un giorno la mia nonna Virginia tornò a casa annunciando di aver trovato lavoro come operaia in una fabbrica di proiettili. Al che sua mamma tuonò: Piuttosto crepiamo tutti di fame, ma tu a fabbricare proiettili non ci vai!
Mia nonna trovò in seguito da lavorare in un'azienda farmaceutica molto famosa, posto che mantenne per tutta la vita e che fu la causa prima della diffidenza cronica nei confronti dei medicinali, trasmessa - pare - geneticamente a tutta la sua discendenza.
Conobbe suo marito Pietro, si sposò ed ebbe un primo bambino, che purtroppo morì prestissimo, ma fu presto seguito da una bambina dalla salute cagionevole.
Nel frattempo in Italia era arrivato il fascismo, che costringeva tutti ad aderire al partito pur di mantenere un impiego.
Mio nonno Pietro rifiutò di tesserarsi e perse così un lavoro dopo l'altro.
Mia nonna, non essendoci più sua mamma a tuonare Piuttosto crepiamo, prese la tessera del partito e continuò a lavorare presso l'azienda farmaceutica.
Quando Mussolini sentitamente pretese chi i suoi concittadini donassero il loro oro allo Stato, mia nonna non rimase tanto a polemizzare: andò da un orafo e comprò la fede più piccola che trovò, dopodiché la regalò a Mussolini al posto della sua fede autentica, ricevendone in cambio un grosso anellaccio con incise le parole oro alla patria. Anello che negli anni a venire fu utilizzato come amuleto in un modo alquanto bizzarro dalla sua ultima nata. (Costei - mia madre - aveva infatti l'abitudine di infilarlo all'alluce del piede mentre ripassava per gli esami dell'università.)
Quando la piccola di Pietro e Virginia si ammalò più seriamente, fu chiaro che aveva bisogno di cure specifiche per sopravvivere, il che obbligò anche mio nonno a prendere la tessera del partito. Quello era infatti il solo modo per lui di ottenere un lavoro e guadagnare abbastanza da mandare la bambina in un collegio in Liguria, dove il cibo buono e l'aria di mare l'avrebbero mantenuta viva e sana.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale quella bambina era cresciuta ed era tornata a vivere in casa con i suoi genitori. Frequentava il liceo, e al termine delle lezioni si fermava davanti scuola a distribuire volantini anti-fascisti, causando indicibili cardiopalmi a mia nonna, che ciononostante rimase incinta un'altra volta.
Mia nonna continuava a lavorare presso l'azienda farmaceutica, lontana da casa. Anche quando c'era il coprifuoco tornava a casa, pur di pernottare con la propria famiglia. Si faceva chilometri nascondendosi dietro agli alberi quando incrociava le pattuglie.
A quarant'anni già superati, diede alla luce un'altra bambina, che diventò mia mamma, in una Milano presa di mira dai bombardamenti.
La notte dopo la sua nascita, la piccola venne depositata insieme ad altri neonati sul pavimento di un tram e trasferita dal reparto maternità in cui era venuta al mondo all'ospedale psichiatrico, che si trovava in una zona ritenuta più al sicuro dai bombardamenti.
A questo punto mia nonna smise di lavorare e rimase a casa a prendersi cura della sua ultima nata, cosa che si rivelò più impegnativa del previsto: la piccola era vivace e caparbia, si ribellava alle cucchiaiate di olio di fegato di merluzzo che le venivano propinate da tutta la famiglia (Guarda che buono, lo prendo anch'io! Mmmmmm, che squisitezza!), si abbandonava a interminabili episodi di stupidera quando stava per arrivare il Natale, ingoiava i becchi delle quaglie perché non aveva il coraggio di chiedere se dovevano essere mangiati o no, ed era teneramente convinta di avere tre genitori: suo padre, sua madre e sua sorella, che dopotutto aveva diciassette anni più di lei e la portava dappertutto.

Si narra anche di un parente, zio o cugino non so, che quando fu il momento di andare in guerra annunciò: Succeda quel che succeda, io non sparerò mai. Quando tornò a casa - perché ci tornò - aveva in canna lo stesso colpo che aveva quando era partito.

Un altro cugino finì in campo di concentramento, ma ebbe la prontezza di spirito di farsi cadere addosso un carico di pietre che gli ruppe una gamba e lo costrinse in infermeria, invece che sulla camionetta su cui sarebbe dovuto partire insieme ad altri per un trasferimento, nel corso del quale, naturalmente, vennero tutti sbarcati e fucilati.

Per tacere di mio nonno Pietro stesso: un ragazzo del '99, sua madre non voleva vederlo partire per il fronte e andò a supplicare non so quale Eminenza di aiutarla. Fu così che mio nonno venne assegnato di guardia a una tenuta militare in Sicilia, e per tutto il periodo del suo fermo non dovette far altro che andare a cavallo per il frutteto e fare indigestione di arance. Cosa che peraltro gli causò una gastrite cronica che si portò appresso per tutta la vita.

Conosco meno storie intriganti sui miei antenati dall'altro lato della famiglia. Resta nella memoria quella del mio bisnonno, con il quale condivido una data: il mio compleanno è anche l'anniversario della sua morte.

Viveva in centro a Milano con la sua famiglia, tra cui mia nonna Cesarina, sua figlia.
Nel corso della Seconda guerra mondiale decise che era troppo pericoloso rimanere lì - e aveva ragione, visto che dell'intera zona rimasero poi soltanto macerie. Così si trasferirono tutti in campagna.
Mia nonna aveva da poco trovato il suo primo impiego come commessa in una gioielleria, così faceva vita da pendolare. Non durò molto, però: il suo primo mese di lavoro non era ancora finito, che i bombardamenti su Milano e sulle linee ferroviarie si fecero più insistenti.
Suo padre, il mio bisnonno, le proibì di continuare ad andare a Milano. Mia nonna protestò con calore: Ancora un giorno, disse, e riceverò il mio primo stipendio! Lasciami andare solo domani ancora! Suo papà rispose di no, era troppo preoccupato: sarebbe andato lui a ritirare i soldi per la figlia.
Il giorno seguente un convoglio pieno di soldati tedeschi doveva partire da Milano, ma la rete delle spie alleate lo aveva saputo e aveva organizzato un bombardamento mirato. Le spie tedesche, però, avevano scoperto che le spie alleate sapevano e così decisero di far partire il convoglio militare in ritardo, dopo un treno pieno di civili. Gli alleati bombardarono così il treno sbagliato e di mio nonno fu ritrovato solo il cadavere.

Può darsi che le cose non siano andate esattamente come io le racconto: queste storie mi sono state ripetute a pezzettini e la memoria mia o altrui può averle alterate.
Sono anche poche, mi piacerebbe tanto che qualcuno di loro avesse lasciato un diario pieno dei suoi pensieri, dei racconti degli avvenimenti, ma se ne esiste alcuno io non lo so.

In ogni caso pare chiaro che i sentimenti viaggiano lontano, superando barriere di spazio, di tempo e di morte. E forse hanno anche un modo misterioso e tutto loro di affiancarsi al colore degli occhi e alla forma del naso tramandandosi con il DNA.

Tratti distintivi come la scarsa fiducia nelle istituzioni bancarie, il rifiuto ideologico della guerra, la diffidenza verso le aziende farmaceutiche, l'insofferenza nei confronti di chi vuole controllare la gente attraverso più o meno velati ricatti morali e/o materiali, la golosità di arance, il malcelato fastidio nel dover andare a chiedere i soldi che mi spettano al mio datore di lavoro/committente, il disprezzo del "fuoco amico"... non ho inventato niente, era già tutto dentro di me, trasmessomi dai miei antenati anche senza che io lo sapessi.
La loro discendenza non è solo carne e sangue, ma mente e cuore e spirito. Spero di onorarli con la mia vita e di rinnovare la loro eredità quando toccherà a me morire.

2 commenti:

  1. bella la citazione/titolo (e cacchio se è giusta)e che famiglia decisamente interessante. davvero, un diario sarebbe stata una bella trovata!

    ico (ciao!:D)

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  2. citazione intraducibile, direi ^__^

    vero, ci vorrebbe un diario, ma forse nessuno dei miei antenati aveva il pallino della scrittura - e comunque non lo tengo neppure io che il pallino della scrittura ce l'ho! forse dovrei scriverne uno per i miei discendenti?

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