ovvero: ricordi di un'estate.Per la precisione:
estate 1991.
Ho appena finito la mia prima stagione universitaria, con un discreto successo oserei dire. Cinque esami passati molto bene, più un 18 rifiutato.
E' stato un anno interessante: ho conosciuto un po' di gente nuova - meno di quello che mi sarei aspettata, ma tutto sommato ho vissuto l'università in maniera abbastanza solitaria, affascinata dall'ambiente che rappresentava, più che da quello che ospitava realmente. Una bellissima costruzione romanica, con due chiostri all'interno, un giardino chiamato da tempo immemore 'il giardino delle vergini' e ancora riservato alle ragazze, una libreria fornitissima...
Quando voglio assaporare a fondo qualcosa devo farlo da sola, poi posso accogliere nel mio mondo anche qualcun altro. Nel corso di quell'anno accademico mi ero presa il tempo di capire dov'ero e dove ci si aspettava che andassi. Lavoravo in un editoriale la domenica sera e con i soldi che guadagnavo mi compravo i libri di testo, molto orgogliosa di farlo.
Al sabato sera, tradizionalmente, uscivo con Mauro. Si andava a mangiare un trancio di pizza da
Spontini (la pizza al trancio più buona del mondo, se passate di lì tenete presente) e poi a scelta. Se era una settimana in cui avevamo da parte qualcosa, magari andavamo al cinema o al palazzo del ghiaccio, in inverno. Oppure nella bella stagione a mangiare il gelato in via Gluck, o a passeggiare intorno al Duomo o al Castello Sforzesco. Mi ricordo alcune sere piovose semplicemente passate in macchina ad ascoltare musica e chiacchierare.
Le amiche del liceo erano tutte occupate come me: a costruirsi il proprio mondo nell'università che si erano scelte, a fare amicizie nuove, a custodire esperienze. Ci si incontrava ogni tanto, per confrontare i relativi percorsi, che hanno serenamente portato ciascuna verso il proprio destino.
Comunque. L'estate.
L'inizialmente pianificata vacanza sulle coste della Yugoslavia, in procinto di non esistere più, era stata via via sostituita da altre idee, fino a praticamente pochi giorni prima della presunta partenza. A quel punto, avendo piano piano perso consensi all'interno della combriccola con cui dovevamo andare in ferie, ci siamo ritrovati io e Mauro a guardarci nelle pupille e a dirci,
dove andiamo, che facciamo? Lui voleva andare al mare, io del mare avevo pochissima esperienza e così l'ho seguito in Costa Brava, per una vacanza che sarebbe durata fino a quando ci fossero bastati i soldi.
E' stata una bella vacanza: ho visto Barcellona; assagggiato paella e sangria; mi sono anche ubriacata per la prima (e ultima) volta nella mia vita; ho scoperto che tanto io quanto il mio boyfriend preferivamo passeggiare lungo la spiaggia al mattino, piuttosto che dimenarci come forsennati in discoteca per tutta la notte; abbiamo creato la nostra personale ricetta, che ci ha poi accompagnato per anni: sugo di
Pomì versato sull'olio quasi bruciato (ehm, fortuna che abbiamo abbandonato tale abitudine)... e infine abbiamo rinunciato agli ultimi 4 giorni di campeggio per comprare uno spadone a due mani, alto 1.23 m dalla punta della lama alla cima dell'elsa (che porta scritta la formula "tanto monta monta tanto" - che a tutt'oggi non sappiamo che significhi).
Prima della ripresa dell'università ci siamo concessi un altro breve periodo in montagna, a casa dei suoi genitori e infine qualche giorno insieme a Milano.
Ricordo ancora con tenerezza e stupore i momenti in cui lui parlava del nostro futuro insieme.
Non volevo prenderlo sul serio: mi divertiva, sì, mi lusingava, certo, ma mi spaventava. Ricordo vagamente che in alcune occasioni ho provato a suggerire l'ipotesi che forse, magari, il futuro ci avrebbe visto divisi (con tatto naturalmente, come il mio solito. Se non vado errato, le mie parole suonavano all'incirca così:
io non ho nessuna intenzione di sposarmi, amo la mia indipendenza, vivrò e morirò single). Di solito reagiva sorridendo incredulo,
vedrai, diceva. Chissà se aveva visto nel futuro?
Un pomeriggio mi ha chiesto di accompagnarlo in una gioielleria di Corso Buenos Ayres: non sapevo bene cosa aspettarmi, ero lievemente terrorizzata. Ha voluto che comprassimo ciascuno un sottile cerchiolino d'argento, l'uno per l'altra. Che cosa carina. Era bello sentirmi importante per qualcuno, per lui. Pensavo sempre che potevo accettare tutto questo, non era niente di definitivo.
Che acida, che ero, che cattiva. Adesso lo vedo.
Non mi rendevo pienamente conto di chi avevo davanti, avevo solo la vaga coscienza del fatto di non avere mai incontrato nessuno come lui. Adesso so che
non ho mai incontrato nessuno come lui, neppure dopo.
Però ero innamorata. A modo mio, almeno.
Dicevo a mia mamma,
un giorno ci sposeremo! Chissà se lo facevo per suscitare una reazione? In genere la sua risposta era,
Brava, brava. Adesso fila a studiare.
Poi lui si fermava davanti alla vetrina di un negozio di porcellane e mi indicava un servizio di piatti,
ti piace? Li compriamo? Dobbiamo cominciare a mettere da parte cose del genere... E io scoppiavo a ridere.
Ci sono voluti altri eventi, altre interferenze per far scoppiare la mia bolla di incredulità e mettermi di fronte all'interrogativo. Cosa volevo fare di lui, di
Noi?
Non è stato facile scegliere allora e non è stata una decisione sempre facile da seguire dopo. Più volte ho voluto tornare indietro e ogni volta lui mi riacchiappava. E siamo ancora qui, preferiamo ancora la spiaggia alla discoteca e lo spadone a due mani è ancora insieme a noi. I cerchiolini d'argento sono stati sostituiti da due cerchiolini d'oro e se questo di per sé non vuol dire niente, intanto è qualcosa difficile da dimenticare, specialmente perché - ehm - il mio anulare sinistro è diventato reticente, diciamo. Va bene, un po' più cicciotto, e l'anello non scorre più tanto facilmente. Tanto vale lasciarlo lì.