Ultimo post su "Il Nome della Rosa".
Ieri sera ho finito di leggerlo. Ero ispirata: in giornata ero stata in libreria e non vedevo l'ora di liberarmi del mattone per cominciare uno dei due libri che avevo comprato (The Jane Austen Book Club, by Karen Joy Fowler - che promette di essere piacevolmente disimpegnato - e Perdido Street Station, by China Mieville - la cassiera era entusiasta per il mio acquisto, mi ha detto che adora quel libro e che è contentissima quando qualcuno lo compra perché poi può ordinarlo e il solo gesto la rende felice, poi mi ha pregato di tornare a dirle se mi è piaciuto! Le premesse non sono male).
Dunque, ho finito "Il Nome della Rosa".
Posso dire che, nelle ultime centocinquanta pagine la storia ha preso a scorrere un po' più velocemente. Uhm, forse potrei levare un po' più velocemente. Ha preso a scorrere, punto.
Il giallo, alla fine, c'era, anche se a ventimila leghe sotto i mari. Portarlo un po' più in superficie, credo di capire, avrebbe ammazzato l'aura di romanzo storico medievale scritto in stile di cronaca medievale.
Okay, okay. Apprezzo lo sforzo, va bene? Conitnuo a rimanere perlessa e incredula di fronte alle folle di gente comune che afferma di averlo trovato un capolavoro.
Per ammissione stessa del Sig. Umberto Eco (sì, mi sono letta tutta l'appendice: quando leggo un libro lo leggo dalla prima all'ultima riga) "Il Nome della Rosa" è una creazione particolare.
Le prime cento pagine, dice (e io ardirei aggiungerne altre duecento minimo al computo, ehm) sono appositamente lente, pedanti e avvolgenti per portare il lettore all'interno della reale atmosfera del monastero del 1300.
Quindi la mia soluzione è: chi lo ha comprato e letto in maniera superficiale magari lo ha spalmato su un periodo di un anno e ti saluto atmosfera greve e pesante. Io che ci ho messo una settimana (il racconto copreeffettivamente la durata di una settimana) avrei avuto bisogno di flebo rivitalizzanti una pagina no e tre sì.
Alla fine, il mio giudizio viene ritoccato un po'.
Apprezzo il lavoro che il sig. Umberto ha fatto per mettere insieme un racconto che fosse: a) storicamente coerente; b) logicamente coerente; c) possibile.
Nelle note in fondo al libro ha scritto che quando pensava a una conversazione tra due monaci che dal piano terra salivano le scale per andare di sopra, contava gli scalini e si premurava di fare in modo che la conversazinoe fosse ragionevolmente compresa nel tempo impiegato dai due a percorrere il tragitto. Ecco, queste sono le cose che ammiro a apprezzo in questo libro (e che magari andrebbero fatte da più scrittori!).
Per il resto, non posso dire di essere stata intrattenuta da questo romanzo, né che mi abbia comunicato qualcosa di profondo, né di avere imparato qualcosa (in primis, non era argomento che mi interessasse più di tanto, inoltre avevo già letto in passato resoconti di interrogatori, inquisizioni, condanne, etc)
Adesso ho iniziato The Jane Austen Book Club, che è decisamente su altro piano: non pretenzioso, leggero, per il momento un po' inconcludente ma vedremo.
4 ore fa
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