Finito di leggere il libro rinvenuto nella libreria. Non è decisamente il mio genere. Introspettivo, ma senza una conclusione: il classico tema del viaggio come ricerca non si conclude.
Non si ha l'impressione che i quattro protagonisti, o quanto meno uno di loro, trovi se stesso, o scopra qualcosa... quello che ci si aspetterebbe in queste situazioni.
Vagano in posti impossibili (ecco dove entra la fiaba), scambiano poche parole che ci si aspetta esprimano qualcosa, spieghino, aprano al lettore qualche spiraglio in più sull'anima di questi quattro, ma non succede nulla di tutto ciò. Sono, più spesso che no, sequenze di affermazioni lapidarie, senza un'origine e senza una destinazione.
I quattro personaggi sono persone che cercano, su questo non ci piove. Quattro a cui la vita finora ha detto poco e cercano qualcosa.
Non trovano niente, anzi perdono uno di loro e il loro viaggio si trasforma in una nuova ricerca, volta a ritrovare il Vecchio. Per quale motivo, poi, il Vecchio sia tanto importante, io non l'ho capito. Probabilmente non lo è. Sembra quasi che i Tre rimasti decidano di mettersi a cercarlo un po' per noia.
il Vecchio per tutta la durata della sua presenza compie gesti strani, dei quali non fornisce spiegazione, né gli altri gliene chiedono. Raffazzona brandelli di storia e di passato senza senso e senza logica e poi se ne va.
Boh? Io questi libri profondi non li capisco. Deve essere un limite della mia corteccia cerebrale.
Anche nella struttura il libro non mi ha convinto. Non c'è simmetria e non c'è una spiegazione. Inizialmente è il Giocatore a guidare la ricerca; segue poi il Vecchio, che a questo punto sembra prendere in mano la situazione, salvo andarsene abbandonando gli altri poche pagine dopo. Il Soldato e la Donna non hanno iniziativa. La Donna, poi, è sempre dietro a guardarsi nello specchietto da borsa, rifarsi il trucco o rimettersi a posto il ciuffo. Irritante, soprattutto se voleva trattarsi di un personaggio emblematico.
Nessuno dei personaggi ha consistenza, ma forse questo almeno ci azzecca con il titolo e l'argomento, l'assenza, appunto.
Quindi abbiamo quattro personaggi evanescenti, che si muovono in un mondo inesistente, con un punto di partenza ma nessuna destinazione né punto di arrivo. Nel frattempo nessuno di loro cresce, matura, scopre qualcosa. Rimangono tutti fermi al punto in cui si trovavano all'inizio del racconto.
Racconto la cui narrazione forse può piacere a uno sceneggiatore, ma personalmente la trovo inadatta a un romanzo. Le scene sono descritte come fossero quadri, compreso l'uso di espressioni tipo, sullo sfondo si solleva il fumo di una sigaretta.
Dire che il punto di vista sia quello del narratore omnisciente non è corretto. Per pagine e pagine abbiamo la descrizione pedissequa e a volte pomposa di una singola scena. Va bene, cogliamo tutti i dettagli dello studio del Vecchio; le foto nella camera della Donna (irritante, continua a far cadere robe a terra e le lascia lì, tra l'altro) o cose così. Ma cosa aggiunge tutto ciò alla storia? Niente.
E' forse un tentativo di contrasto? Mille dettagli dei luoghi contrapposti al niente della personalità dei quattro?
Inoltre, cosa che ho trovato oltremodo fastidiosa, si passa ripetutamente da questa narrazione puramente descrittiva, al punto di vista di un narratore omnisciente che vede le scene dall'esterno e posiziona tutti i personaggi, per poi ritrovarsi di botto, anche all'interno di un medesimo paragrafo, a una inspiegabile narrazione in prima persona, al passato (mentre tutto il resto è al presente) - senza dar modo mai di capire chi stia parlando!
Ho salvato un paio di frasi singole che mi sono sembrate venute bene (con le quali non necessariamente son d'accordo al 100%):
- Credo nei luoghi, non quelli grandi ma quelli piccoli, quelli sconosciuti, in terra straniera come in patria. Credo in quei luoghi, senza fama né risonanza, contraddistinti forse dal semplice fatto che là non c’è niente, mentre intorno c’è qualcosa dappertutto. Credo nella forza di quei luoghi, perché là non succede più niente e non ancora niente. Credo nelle oasi del vuoto, non in disparte, ma qua in mezzo alla pienezza. [pag. 46]
- Ogni volta che in vita mia mi sono illuso di essere arrivato, in vetta, al centro, là, legato a questo c’era il fatto che là non potevo restare. Io posso solo fermarmi, per poco tempo, e poi devo procedere, fino a quando potrò forse esserci di nuovo, là, da qualche parte, per poco tempo. Esserci, esistere, per me è successo sempre e soltanto per poco tempo, mai per tanto. [pag. 53]
3 ore fa
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