Un'idea di Neris, copio e riciclo. Sono andata a ripescare un branetto scritto quando avevo 17 anni (in un giorno non precisato tra il 28/11/89 e il 19/12/89), uno dei miei primi esperimenti si può dire. Anzi, proprio un esperimento, visto che ricordo di averlo scritto come esercizio. Lo scopo era non utilizzare ripetizioni. Beh, adesso lo posto, i commenti a poi.
LE FATE
La luna splendeva alta nel cielo, un cielo tanto blu e tanto soffice da sembrare un mantello avvolto intorno alla grande foresta.
Le nuvole si erano appena disperse e le gocce d’acqua ancora ingioiellavano gli aghi dei pini, come perle di cristallo.
Un morbido tappeto erboso attutì il rumore di una pigna che, cadendo a terra, aveva lasciato nell’aria immobile una luccicante scia di lacrime di cielo.
Il silenzio più totale dominava quel bosco fatato quasi volesse presagire a qualcosa di fantastico, di magico.
Uno scoiattolo dalla folta coda rossa, morbido batuffolo di pelo, unico, prezioso cuore palpitante in quel regno di morte, si arrampicò veloce lungo il solido tronco di un abete imponente, sulla cui cima brillava tremolante una piccola stella. E presto ovattati fiocchi si misero a danzare nell’aria, toccando leggeri terra e subito seguiti da volteggianti cristalli di ghiaccio, la cui forma perfetta toccava e trasformava le gocce di rugiada in debole scintille di luce che attraversavano come raggi la buia pineta in ogni direzione.
Le piccole fate uscirono allo scoperto in quella notte incantata e sotto la luna tagliente una melodia soffusa accompagnava nuovi colori e nuovi profumi.
Veloci e leggere, agili di fiore in fiore, disegnando vortici fra i soffici fiocchi, verso le stelle a cavallo di una nota, brillando su un arcobaleno in una goccia, scivolando sull’azzurra superficie di un lago ghiacciato, le piccole fate riempivano il bosco e il mondo con il sussurro delle loro ali di vetro, trasparenti e sottili.
Poi, tanto d’improvviso quanto erano apparse, le piccole fate sparirono.
Un silenzio di neve coprì l’argentata melodia, il gelo recise i fiori ancora frementi e il freddo vento trasportò lontano i petali con i loro colori e il loro profumo.
La falce di luna illuminò una foresta e i contorni dalla sua luce disegnati erano quelli di un paesaggio di immobilità e di morte, sotto stelle troppo distanti e troppo vive nella buia volta del firmamento, per brillare anche per me.
Finito.
Intanto noto che, purtroppo, nonostante le buone intenzioni, le ripetizioni ci sono. Non balzano agli occhi, però ho contato 3 cielo, 3 luna, 3 fate, 3 voci del verbo brillare, 2 stelle, morbido, terra, foresta, gocce e cristall(o/i) (e magari me ne scappano altre). Su 329 parole di testo alla fine potevo fare di meglio.
Poi ci sono delle espressioni un po' deboli e in una pineta non c'è un "soffice tappeto erboso" per terra.
Per il resto, direi che la mia vena vagamente macabra, triste e auto-lesionista si stava già formando allora: fatine o no, sempre di morte si finisce per parlare!!
4 ore fa
*Compare col computer del fratello... xD*
RispondiEliminaBello! ^^ Niente male come racconto! Io a diciassette anni scrivevo obbrobri! (Non che ora sia molto meglio, in effetti... :S)
P.S. Son felice di averti dato una buona idea!!! E devo ammettere che quando mi hai accennato di questa tua prova son diventata tremendamente curiosa... non so quanto sarei resistita prima di chiederti se potevo leggerlo. xD
grazie di essere passata ^_^
RispondiEliminamah più che racconto, lo definirei un "quadretto" :S
non mi sembra un obbrobrio, ma non mi dice granché :S
sono spietatissima :P