Una perla da questa raccolta (Venti Racconti Allegri E Uno Triste, di Mauro Corona), su cui - giudicatemi pure una sempliciotta - ho riso di gusto:
L'amico boscaiolo e cacciatore andò dal prete che lo aveva sposato e, molto piano, gli disse che doveva "disposarlo", liberarlo cioè dal vincolo matrimoniale.
"Non si può", rispose il parroco.
"Come no? Allo stesso modo che lo ha fatto, lo può disfare. Si disfa anche un gomitolo di filo dopo averlo fatto."
"Impossibile, il matrimonio si scioglie solo con la morte."
"Allora devo ammazzarla?"
"No, no, si calmi, non faccia sciocchezze. Se proprio è tanto stufo la allontani."
"Ho provato a spingerla via, è finita rotolando in fondo alle scale, ma è tornata su."
Sono venti racconti non particolarmente allegri e uno non particolarmente triste. Sono storie prese dal quotidiano, e rimaste a fermentare nella mente per un po', prima di trovare la strada verso una pagina.
C'è simpatia, c'è nostalgia, c'è auto-ironia e compassione.
Ci sono passi poetici:
Era la fine di un settembre infelice. Lenzuola di nebbia venivano su dalla valle lentamente andando a sbrindellarsi sugli spigoli affilati delle rocce. [...] La malinconia dell'ambiente si poteva vendemmiare. Stava impigliata nei radi boschi di carpino nero ma ogni tanto si liberava e andava su, fino alla baita [...]
Ci sono battute lapidarie:
"Dalle stelle alle stalle", si dice. Per finire nel pantano il passo è breve, tornare tra gli astri è difficile.
C'è una descrizione del dolore che pure se uno non lo avesse mai provato, credo riuscirebbe comunque a coglierne la sensazione:
Le tristezze narrate devono durare poco ché quelle vissute durano troppo e lasciano segni eterni. Ogni dolore avvilisce e tritura l'anima per il resto dei giorni. E quando arriva è una lava rovente che avanza nei canali del cuore. Poi solidifica, diventa presenza costante. Per questo si invecchia.
E insomma, niente. Non è il libro più bello del mondo, né sicuramente Mauro Corona lo scrittore del secolo, ma mi ha lasciato dentro una cosa o due.
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