Tempo fa ho letto un racconto di Ursula Le Guin, contenuto nella raccolta Changing Planes. Si intitola Seasons of the Ansarac.
Gli Ansarac sono una popolazione che abita in un mondo parallelo al nostro, sono una specie di uomini-uccello e hanno delle abitudini diverse dalle nostre. Seguono un ciclo naturale, che li vuole creature migratorie: a Sud una parte della vita, a Nord un'altra.
Un lungo viaggio li porta a Nord, per vivere la primavera, accoppiarsi e vivere la vita familiare.
Poi scende il freddo, e viene il momento di tornare a Sud. Lasciano i boschi e le montagne per riunirsi a vivere in affollatissime città, in cui lavorare e andare a scuola, i giovani con i giovani e gli adulti con gli adulti. Non c'è più spazio per effusioni e affetti familiari, è un'altro tipo di comunità, nessuno manca a nessuno: è un altro ciclo, fa parte della vita.
Tutto funziona benissimo: ogni Ansarac segue il corso naturale della propria vita, il richiamo della sua specie è forte dentro di lui. In questo modo possono essere felici e appagati in ogni luogo, in ogni momento.
Ma poi un giorno arriva qualcuno da un altro piano, qualcuno che non ha tali abitudini, qualcuno che non le capisce, che le giudica primitive e sbagliate. Qualcuno che decide di cambiarle, per il bene della popolazione Ansarac.
"Vedete", spiegano, "Se costruite delle grosse strade non siete più schiavi delle stagioni e del tempo atmosferico. Potrete andare a Nord quando volete, non solo in primavera. Pensate che bello, essere liberi dai limiti imposti dalla vostra natura, poter fare quello che volete, quando volete!"
Gli Ansarac non si erano mai accorti di essere schiavi, ma adesso che qualcuno glielo fa notare, che dà loro tanti suggerimenti per il loro bene, per il progresso della loro specie, per aiutarli a essere liberi... Ecco, adesso comincia ad affiorare il dubbio e decidono di fare come queste creature tanto sagge provenienti da un altro piano suggeriscono.
Per un po' vivono una vita caotica, non più regolata daii cicli naturali, non più scandita dalle grandi migrazioni di gruppo. Sono finalmente liberi dai limiti imposti loro da madre natura.
Un bel giorno, però, si accorgono di non essere felici e appagati. Hanno voluto sovvertire un ordine, che funzionava tanto bene, che non aveva bisogno di essere spinto o cercato: esisteva da sé, era innato in ciascuno di loro. Seguire quell'ordine, seguire la propria natura li rendeva felici, senza rimpianti. Adesso era il caos, l'inaffidabilità, e tanti problemi causati dallo sforzarsi di liberarsi di quella presunta schiavitù.
Gli Ansarac alla fine decisero che ne avevano abbastanza. Perché avere una strada, che permettesse loro di compiere la traversata da Sud a Nord in un periodo dell'anno in cui nessuno voleva andare a Nord? Perché rinunciare ai legami con la famiglia, alle danze di corteggiamento in primavera, alle scuole e alla vita comunitaria in città in inverno? Perché rinunciare a una vita che seguiva i ritmi naturali della loro specie, fornendo loro esattamente ciò di cui avevano bisogno o desiderio, quando ne avevano bisogno o desiderio?
Abbandonarono la strada e la libertà promessa dalle sagge creature di un altro piano, per continuare a vivere una vita da schiavi dei limiti imposti dalla loro natura. E tornarono a essere felici e appagati.
Ecco, gli Ansarac hanno fatto quello che gli esseri umani non hanno avuto il coraggio, la forza o la semplice furbizia di fare. Gli esseri umani si sono auto-imposti orari di lavoro che di naturale non hanno nulla; forzano risposte dalla natura che danno come risultato la mucca pazza o le terre rovinate per sempre dalle piantagioni transgeniche, allo scopo di produrre di più, allo scopo di guadagnare di più, allo scopo di.... nemmeno lo sanno più.
Una volta cinque contadini lavoravano la terra intorno a una tenuta. La sera si ritrovavano seduti a tavola, mangiavano insieme, bevevano un bicchiere di vino e giocavano a carte. Si raccontavano un paio di storie, ridevano, fumavano un po' e la giornata finiva, per ricominciare il giorno dopo.
Poi sono arrivate le enormi macchine agricole: un uomo poteva fare il lavoro di cinque e così quattro hanno dovuto abbandonare la campagna. Quell'uomo ora guadagnava per cinque, ma era da solo ogni sera davanti al suo bicchiere di vino e non aveva nessuno con cui spendere quei soldi. Eppure non è tornato sui suoi passi.
C'è una cosa, una sola, che ha accomunato gli uomini e le donne di ogni epoca e di ogni posto del mondo, per quanto sperduto. Si chiama natura. La natura ha i suoi cicli, i suoi ritmi, che noi abbiamo dimenticato, perché volevamo essere liberi dai limiti che ci imponeva. Siamo più felici, più appagati? Ci sentiamo più liberi?
Non voglio suonare retorica, scrivendo NO, quindi non lo farò. Lascerò che ciascuno si dia la risposta per sé.
3 ore fa
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